Pagina:Verri, Alessandro – Le notti romane, 1967 – BEIC 1958204.djvu/63

NOTTE II - COLLOQUIO I


costrinse i nocchieri ad approdare alla spiaggia di Circeo. Ivi rimasi come tristo bersaglio di malvagio destino. Fremea sdegnato il mare, infida era la terra, funesto il cielo. Io languiva ornai d’inedia, e vacillando sulla deserta arena ora temeva, ora desiderava d’incontrare uomini in quella. Il non vederne era infausta desolazione, il vederne pericolo manifesto. E mentre io traeva il lento passo con fronte dimessa lungo la spiaggia ventosa, incontrai alcuni bifolchi, la pietá de’ quali, poiché mi riconobbero, mi avvisò che vagavano colá molti insidiatori della mia vita. E quantunque il sangue rimastomi nelle vene dopo averne sparsa la maggior parte per la gloria di Roma, fosse da lei stessa venduto con alto prezzo a’ traditori, nondimeno ottenni maravigliosa benignitá da quegli uomini i quali poteano con la mia morte far lieta la loro misera condizione. Di questa anzi si doleano, per la quale non avessero di che rifocillare le mie membra languenti. M’ingolfai pertanto nella foresta di quelle spiagge, come scaduto dalla civile condizione a vita selvaggia.

La notte giá occupava il cielo, del quale soltanto brevi spazi tra le foglie apparivano agli occhi miei. Questi ornai stanchi di veglie e di sciagure, stavano desti per la fiamma dell’ira. Il vento procelloso scuoteva co’ turbini la foresta: sibilavano tra’ densi rami i nembi indomiti, e svellevano arbori eccelsi con ruinoso impeto prostrati. Io sentiva ululare lupi, o per fame o per orrore, e scrosciare le foglie inaridite, per gli angui che strisciavano su quelle. Ma non vi muova pietá di tali disagi miei, perché ad un guerriero fu sempre la vittoria piú grata che la vita: solo immaginatevi l’angoscia dell’intelletto, l’ira del cuore, le querele disperate contro la mia fortuna e la sconoscenza vostra, le quali si dileguarono nell’aura tempestosa. Alfine l’aurora mi trasse fuori della selva deliberato a combattere con la sorte crudele. Nodrito dalla sola vendetta, m’inoltrai sulla spiaggia peregrinando verso Minturno. Ivi mi abbattei immantenente ne’ guerrieri sillani miei indefessi persecutori. Mi gettai fra le onde a nuoto, e mi rivolsi a due navi non remote per ricoverarmi in esse. Le gravi, provette, vaste, oppresse mie membra faceano a stento quell’offizio, cosí che il sommergermi era imminente. Io udiva intanto que’ sicari