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NOTTE II - COLLOQUIO I


volgesse all’occaso. Alfine si diffusero le tenebre nelle vie e nel cielo, ed io ne fui lieto per l’ansietá di ritornare a que’ monumenti. Oh stolto desiderio, perché irrevocabili fuggono i giorni, e ne spingono alla tomba! Cosi le mordaci cure dell’animo fanno ch’egli brami di perdere ciò che sospira poi sempre di avere perduto, il tempo.

Ma quando fu spenta la fiamma del cielo, io sollecito discesi in que’ penetrali aspettando nuove maraviglie. Stetti, io credo, con gli occhi di smalto, co’ capelli simili a Medusa, col volto pallido come di chi ode sentenza di morte, invocando gli spettri. Ma lungamente e invano giá sonava la mia voce in quella solitudine tenebrosa. E però ornai privo di speranza io barcollando ritraeva i passi da que’ ciechi sentieri. Quand’ecco di nuovo splendere la consueta luce fosforica, e adunarsi con súbito concorso le giá vedute larve non solo, ma altre innumerevoli e nuove. Fra le quali agevolmente riconobbi il mio Tullio, perché inoltrandosi verso me: — Salve, — disse, — postero cortese, il quale senti maraviglia e pietá di noi, siccome ne fa manifesto indizio la nobile tua fidanza per cui qui penetrasti e qui ritorni. Ornai sembra sgombrata dal tuo petto quella molesta viltá per la quale vivendo si temono gli estinti. Vedi che siamo incorporei, non atti ad offendere, per indole e per natura, questa compage tua. Questa, la quale dopo il breve sogno che vivere si chiama, disciolta in polvere, tu rimarrai, come ora noi, purissimo elemento. Sarebbe quindi in uomo, come tu sei, ribrezzo puerile il temere noi che altro non siamo che la migliore sostanza deH’umano composto. Non queste fragili membra, ludibrio della morte, sono la tua essenza verace, ma quella facoltá per la quale ragioni, e senti, e ti attristi, e godi, e brami continuamente ingolfarti in una eccelsa felicitá. Sarebbe dunque piú conforme alla ragione che noi avessimo qualche ribrezzo di te, anzi che tu l’abbi di noi. Perocché ad intelligenze veloci, disciolte e pure, è molesta la tarditá de’ vostri pensieri oppressi dal fango delle membra caduche. —

Poiché egli tacque, io sommessamente risposi: — O mirabil consolo, e piú mirabile oratore, tanta è la dolcezza di udirti e di vederti, che invece di temere o il tuo aspetto o la tua voce,