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NOTTE I - COLLOQUIO VI


Cornelia ascoltava con altero silenzio, immota nell’atteggiamento, intrepida nel volto; e poich’egli tacque, ella incominciò: — Se ti duoli che ti fosse troncata la vita oltre l’undecimo lustro, quand’eri giá saziato di gloria e di fortuna, quali non saranno i lamenti di questi miei figliuoli alla aurora di giorni illustri, in florida etá, speranze del popolo, terrore della tirannide, maraviglia di Roma, uccisi in modi, come udiste, crudeli? Quand’eglino caddero, furono pianti da tutta l’Italia, ma non da questi occhi miei. A donna qual io sono di magnanima stirpe, a madre di generosi tribuni oppressi per cosí illustre cagione, era ben piú convenevole una altiera allegrezza. Io mi vanto d’avere generati costoro, morti, quantunque indarno, per voi, Quiriti miei. Solo mi duole che spenti questi, io non ebbi altri quali sofferissero egualmente l’ira togata, e le nobili frodi, e le insidie patrizie per quelle alte contese. Io non so chi sia reo della tua morte infelice; ben so che tu adottato per suo figliuolo da mio fratello, ti facesti condottiero della tirannide contro Caio mio figliuolo. So che il Senato propose il premio di tanto oro quanto fosse il peso del teschio di Caio a chi lo recasse troncato. So che il patrizio Septimuleo lo offerse al consolo Lucio Opimio, avendovi prima infuso piombo liquefatto per ottenerne piú ricco guiderdone. Oh Romani! Vedeste pur nelle bilance librarsi il teschio di questo piú della patria figliuolo che mio con altrettanto oro, e premiate a un tempo l’atrocitá e la frode. —

Da tale amarissima novella perturbato, lo spettro di Caio fremea come vento che romba sotterra. Ma l’Emiliano ancora non soddisfatto della sua inchiesta, in quella insistendo cosí replicò: — Or qui dunque si deplorano soltanto le sventure de’ sediziosi plebei, né alcuno sa, o ardisce riferire almeno il suono della fama intorno a’ miei ucciditori? — Tacque, ed aspettava, con onesto contegno, alcuna risposta. Udii quindi un susurro di miste favelle, e parea che alcune larve giá prorompessero a svelare il tristo arcano, ed altre sembrava che le rattenessero ponendo loro le mani sulle labbra. Intanto vidi trapassare una larva fuggitiva, che parea ansiosa di sottrarsi alla moltitudine. Era l’aspetto suo di timida donna, e sollecita di nasconderlo si copriva col velo.