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PARTE PRIMA


questo furto antico. Furono i miei modi in combatterlo civili, cioè la legge e la ragione. Ma gli insidiosi avversari sottrassero destramente dall’adunato comizio le urne e le schedole, mentre i suffragi erano in procinto. Col quale artifizio delusi i miei primi sforzi, furono poi combattuti i secondi con atrocitá manifesta. Vedeste i Padri togati avventarsi contro me sostenuti nella perfida violenza da’ loro servi e clienti. Io mi studiava di sedare quel tumulto con le parole. Ma niuna umana voce bastava a superare lo strepito immenso del comizio tempestoso qual mare. Quindi non potendo in altro modo farvi noto in qual pericolo io fossi, portai la destra al capo accennandovi ch’egli era esposto ad imminenti oltraggi. Vidi allora il consolo Scipione Nasica raccogliere con la sinistra la toga, alzare la destra, e trarre seco il Senato e satelliti suoi contro me subitamente. Egli certo sciamava feroci e tumultuose parole, come alle labbra ed agli occhi suoi era manifesto, ma io non intendeva quali. Veniva contro me il furore togato quasi onda che sommerge. I Padri Coscritti rompevano sdegnati gli scanni del comizio, e armati con que’ frammenti, assalirono la mia inerme ed inviolabile persona. La stupida plebe cedeva a’ Padri, se di tal nome sono degni gli oppressori, e rimanea anche prostrata dalle percosse de’ fusti loro. Io strascinato per le vesti, e colto da gravi colpi alle tempia, spirai dolente piú del fato di Roma che del mio. Or se vive in voi qualche riconoscenza verso me per voi estinto miseramente, deh mi narri alcuno perché mossi tanto furore quando toccai la fronte, e quali furono gli ucciditori miei. —

Alla quale richiesta Caio proruppe: — Ahi dopo lunga etá ben trovato fratello in questo oceano di morte, perché brami di udire malvagitá maggiori di quelle che proccurasti correggere invano? Quel tuo cenno fu con pronta frode interpretato da’ senatori come un segno che tu chiedevi la corona reale. Quindi sciamavano gli scaltri magnificando questo desiderio tuo per concitare contro te il furore del volgo. Il consolo Nasica in quell’atteggiamento in cui lo vedesti gridava: «Chi vuol salva la patria or sia meco». Presso al quale corse l’ordine de’ patrizi quasi tratti da nocchiero disperato a naufragare con la patria