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NOTTE I - COLLOQUIO V


de’ corsali, o forse è deserta, o in potere di conquistatori che la istoria nostra hanno sommersa nel sangue de’ vanti. Niuno qui piú intende il nostro idioma, niuno udí mai il suono della fama antica, perocché altrimenti non sarebbero cosí manomessi questi avelli dove erano scolpiti que’ splendidi nomi. — Alle quali parole io fui prossimo a lanciarmi nel mezzo e difendere la nostra etá. Ma prevalse il desiderio d’ascoltare que’ ragionamenti maravigliosi, turbando i quali con molesti garrimenti io temei che le ombre non si dileguassero sdegnose.

Tullio intanto, e Cesare, e Bruto, ed Antonio, e le piú illustri larve contemplavano con ansietá quelle sembianze famose, da loro non mai, siccome posteri, conosciute. Era l’aspetto di Tiberio grave e mansueto, quello di Caio torbido ed iracondo. L’etá loro parea infra il trigesimo anno. Cornelia avea le sembianze di bellezza matura senza gli oltraggi del tempo. Non rimanea in loro alcuna mollezza femminile. Gli occhi quasi marziali, il ciglio severo, le tumide e composte labbra aliene dal sorriso ornavano quel volto di una casta e grandiosa eleganza. Ma Tiberio, poiché volse intorno lo sguardo, cosí benigno incominciò:

-— Ancora parmi conoscere, o miei Romani, espressa nelle immagini incorporee, l’antica vostra benevolenza. Riconoscete pur voi me spento per la vostra libertá. Erano queste mura nominate patria da’ ricchi, per noi ovile della tirannide loro. Noi oppressi perpetuamente dalle usure, sempre debitori, e prodighi sempre del sangue nostro, eravamo spinti alla guerra da’ consoli per togliere loro il tedio prodotto dalle giuste nostre querele. I patrizi empievano le orecchie altrui con quelle venerevoli parole: patria, Repubblica, gloria, grandezza del Popolo Romano; ma i loro scrigni con oro, e il ventre co’ splendidi conviti. Fino dalla fondazione della Repubblica, determinava pur la nota e sempre delusa legge Licinia che le terre pubbliche acquistate dall’esercito fossero distribuite al comune. Ma que’ medesimi campi che avevano le zolle intrise del sangue nostro, furono sempre donati a’ patrizi, i quali giaceano a lieta mensa intanto che noi lo spargevamo. Io tribuno per voi prodi e mendici, a’ quali trasparivano dal saio sdrucito le cicatrici marziali, offersi il petto mio contro