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NOTTE I - COLLOQUIO V


insidiosamente. E in quale altro modo si possono mai o si debbono eseguire queste imprese? Ebbi i migliori cittadini consapevoli e lodatori del mio proponimento, né vi fui mosso che dal continuo ed unanime consenso loro. Fu quella guerra assai piú giusta della tua in Farsaglia, benché non egualmente avventurosa. Tanta è poi la tua dissolutezza, che mi appelli figliuolo, e mi gravi che abbia offesa quella dolce benevolenza di natura. Ma la dignitá de’ costumi vieta che si palesino gli effetti delle colpevoli dimestichezze. Che se tu mi generasti nel talamo non tuo, io ti ho spento perché la patria vivesse. Io posposi ogni altro all’amore di quella: fu il cuore di gelo per gli affetti stranieri, e solo infiammato da cosí generosa vendetta. Non odiai però Cesare, ma la tirannide sua. La mano tremò quando immerse il pugnale, vacillò il pensiero, e fu in pericolo la mia virtú. Or ti basti, magnanimo nemico, l’avere anche per un momento resa perplessa la costanza di Bruto. —

Disse, e tacque. Poi stese la mano al Dittatore, il quale benevolmente la strinse, e parea che ad ambi scorressero per le guance lagrime furtive in contegno maestoso.

Rimaneano i due illustri emuli in quell’atteggiamento, quando usci della turba una matrona la quale traeva per mano due giovani audaci nell’aspetto, ed esclamò: — Ecco, o Romani, le prime vittime della tirannide, i vostri mal premiati difenditori. Niuno si vanti d’essere stato per cosí illustre cagione piú misero di loro, e niuna madre presuma di avere generati fra noi cittadini migliori di questi. — Cosí dicendo ella sciolse i due giovani dalle mani, gli spinse nel mezzo, ed aggiunse: — Parlate or voi. —

Un di loro pertanto con mesta voce incominciò: — Io spero che ravvisate in me, quantunque senza membra, Tiberio Gracco; questi è Caio, mio germano; e questa non fa mestieri che alcuno vi rammenti ch’ella è Cornelia, nostra genitrice. Riconoscete agevolmente all’aspetto maestoso la figliuola di Scipione Affricano, la erede della sua magnanimitá. Noi siamo qui spinti da onda procellosa, or commossa nel pelago della morte, a tali venerevoli spoglie. Tu devi, o madre, confortarti perché miri, dopo