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NOTTE I - COLLOQUIO IV
pitava, credilo, il cuore nel petto quando spinsi i cittadini contro
i cittadini. Temea specialmente o incontrarti, o vederti giacente.
Ma tu sitibondo del mio sangue, o male amato uomo, potevi
pur saziartene con onore quel giorno, andando in traccia di me
esposto alla fortuna dell’armi. Certo era piú leale impresa per
te il cadere in prova cosí audace, che il sopravvivere implorando
la mia clemenza, ottenerla, serbare molti anni vendetta nel cuore,
bontá nella fronte, ed alla fine squarciato il velo palesarti sinceramente
perfido ed ingrato. Ancora mi sembra vederti col ferro
grondante e gli occhi truci, ne’ quali io tardi avveduto lessi la
sentenza della mia morte. Spirai, credo, piú di stupore che di
ferite, veggendo miei insidiatori quelli ne’ quali avea collocati
maggiori benefizi e fidanza maggiore. Fra’ quali allorché ti vidi,
io lasciai la difesa di una vita perfino a te odiosa. Avvolta la
fronte nella toga, abbandonai a’ vostri ferri le membra, e gemendo
10 spirito s’ingolfò nel pelago della morte. Qual sia poi stato l’imperio mio, se paterno, clemente, leale, a voi spetta o Romani
11 farne libera testimonianza. Tu però. Marco, avevi pur vedute continue guerre civili non per la libertá, ma per la scelta d’un tiranno. Fu pertanto la tua mente oscurata da funesta obblivione quando sperasti che, me uccidendo, non vi fosse altri di me peggiore e pronto a manomettere un popolo di servi. —
COLLOQUIO QUINTO
I Gracchi.
Cesare tacque, e mesto fisava gli occhi in Bruto, il quale declinava
a terra i suoi. Udii poscia voci miste, come di moltitudine
che ragiona con diverse opinioni su qualche grande avventura.
Tacea pur Tullio modestamente, ritroso dal pronunziare in tanta
causa. Quando Bruto, sollevata la fronte, cosí lentamente incominciò: