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NOTTE I - COLLOQUIO IV
quale direi felice se non avessi vinti i Romani co’ Romani, tu solevi
dire ch’era d’uopo non solo cedere, ma gettare le armi.
In cosí afflitta patria, se tale potea nominarsi, erano due cittadini per molte e chiare imprese celebrati, ed aveano diviso l’imperio fra loro. L’uno era Pompeo, l’altro sono io. Quegli rimanea in Italia, io nelle Gallie, da me ridotte, con gloria non comune, sotto la vostra dominazione. Era sospeso il fato di Roma, ogni animo perplesso, incerto ogni potere fuorché l’armi. Il Senato però, della sua scaduta grandezza serbando soltanto l’orgoglio, ardí impormi che lasciassi quell’esercito il quale era ministro de’ miei trionfi, e mi affidassi privato e inerme alle civili perturbazioni. Quantunque un tal comando fosse ugualmente spregevole che quella adunanza, pur mi dissi pronto ad eseguirlo quando nella stessa condizione fosse Pompeo. Non ottenni però mai altra risposta se non ch’ubbidissi, e che dell’emulo avrebbero i Padri a lor voglia deliberato. Quindi col pretesto di far spedizione contro a’ Parti, il Senato mi costrinse di cedere due legioni: ed io le diedi, credulo a trista simulazione. Imperocché furono immantenente unite all’esercito di Pompeo, e rimasero in Italia contro me. Io non cessava nondimeno di confermare a’ Padri essere pronto ad ubbidirli a quella giusta condizione. Ma eglino alteramente schernivano le mie lettere sommesse. Ed era in me cosí ingenua la brama di evitare imprese funeste, che per fine m’appagai che rimanesse Pompeo condottiero di tutte le milizie purché a me fosse lasciata una legione sola ed il governo della Illiria. Queste, direi quasi vili, condizioni furono udite con disprezzo da’ Padri, i quali anzi decretarono contro me guerra come nemico della patria sua. Mi presentai quindi alla ripa del Rubicone, confine di mia provincia, costretto non dirò a guerra, ma a difesa civile. Pur come figliuolo innanzi madre crudele, quando stesi il piè sul ponte, sentii nel petto languire quella forza fino a quel giorno pronta alle maggiori imprese. Una gelida mano cosí mi stringea il cuore, che rimasto dubbioso io mi volsi ad Asinio Pollione che mi era vicino, e palpitando gli dissi: «Ancora sta in nostro arbitrio il recedere, ma se varchiamo, tutto fia in quello dell’armi». Egli udí tacendo, e gli altri pur col silenzio loro biasimavano