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NOTTE I - COLLOQUIO IV


non ottenne se non profferita con grave lentezza quella sentenza:

«Lasciatelo, perché ha fatto quanto gli imposi». Un vile e mesto silenzio chiuse le vostre labbra: non vi fu destra, non cuore da Romano in tanto numero, anzi ciascuno palpitando si dileguò.

Cosí egli sedea di giorno nel comizio qual giudice infernale sentenziatore di perpetui supplizi; e poscia nella sua casa tripudiava di notte senza cure, tiranno felice. Ivi concorreano istrioni, musici, giovani dissoluti, inverecondi garzoncelli, lusinghiere meretrici e crapuloni adulatori. Silla prodigo delle sostanze de’ proscritti, spendeva gran parte delle ore in lascivi trattenimenti, in oziose facezie, in cene intemperanti. E siccome avea spenti i migliori, cosí per compensarne la perdita diede la cittadinanza a’ piú tristi. Dichiarò pertanto cittadini romani, fino al numero di ben diecimila, i suoi liberti, giovani pronti alle volontá del loro implacabile signore. Con questi modi s’innalzò sopra cumulo di teschi romani costui distruttore fastoso, e poich’ebbe uccisi con guerre, con proscrizioni, con insidie, con sicari piú di centomila di voi, fra’ quali novanta senatori e duemila cavalieri, prese da se medesimo i titoli di Venusto, Delizioso e Felice. Certo egli dopo tanti esternimi gettò la scure, e trapassò gli anni estremi nella calma de’ saggi; ma rimane dubbioso il pensiero se fosse piú l’effetto di quell’estremo disprezzo in cui vi tenea, o di quella viltá alla quale avea ridotte le menti vostre. Ben ciò è manifesto, che tanto erano chine le vostre fronti prima cosí altiere a’ tiranni, che voi allora divenuti arbitri della vostra libertá, rimaneste servi. Cosí tolto il giogo al bue, sta curvo aspettandolo di nuovo.

O Tullio, or vengono i tempi nostri infelici, quando vedemmo scacciato dal comizio a colpi di pietre e di fusti Catone, il piú inviolabile cittadino, ed il consolo Metello tratto in carcere da Flavio tribuno. Tu stesso ti rammenti le crudeli bette del tribuno Clodio che nel comizio mosse la plebe ad imbrattarti di fango. Vedesti pure in que’ tumulti quasi morto l’oratore Ortensio per l’ira del volgo, ed ucciso il senatore Vibieno. Que’ fasci consolari, che rattenevano, col mostrarsi presso gli avi nostri, ogni impeto della plebe, allora furono da lei spezzati e vilipesi. Clodio empiè il comizio ed il fòro