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PARTE PRIMA
nisse il consolo, siccome intemperante ne’ conviti. Non altro freno
ornai rimaneva alla violenza, che la violenza. E però, prima che
finisse il tribunato suo, fu Druso per insidia ucciso di notte, senza
che mai si sieno conosciuti gli autori della sua morte. Fossero
almeno sepolte con lui quelle triste discordie! No: si rinnovarono
anzi immantinente quelle che tante fiate aveano sconvolta
la Repubblica per gl’imprestiti de’ patrizi alla plebe. Questi giudizi
spettavano al pretore. A. Sempronio Asellio, il quale era allora
in tale dignitá, procurava di opporsi agli avidi creditori, che opprimevano
la plebe con le usure. E per confermare che la giustizia
era nome vano, il pretore fu assalito da patrizi, mentre celebrava
un olocausto; percosso con le pietre, gli cadde la sacra patera
dalla mano, e tentò rifuggire nel prossimo delubro di Vesta. Ma
i persecutori gli troncarono la via, e costretto ricoverarsi in una
taverna, vi fu ucciso. Invano il Senato invitò con la sua autoritá
e co’ premi ciascuno a palesare i colpevoli di quella atrocitá, i
quali rimasero occulti, benché l’avessero commessa in mezzo
della frequenza vostra. Niun’altra cosa era pertanto felice in Roma,
se non la malvagitá. Ed ecco innanzi a’ pensieri aprirsi volume
vasto, immenso, scritto col sangue romano. Io vi leggo le imprese
di due insaziabili di tracannarlo, di Mario e di Siila. —
A questi nomi l’aura suonò di lamenti, le fronti apparvero meste, gli atteggiamenti esprimevano orrore. Cesare alquanto rimase in silenzio, come nocchiero il quale dalla prora guarda intrepido la fremente onda, e quindi proruppe: — Ahi tarde e vane querele! Or se i nomi soltanto di que’ carnefici vi fanno ribrezzo, perché ne sofferiste le stragi? — Poi tacque, e in quella pausa dignitosa la moltitudine si calmò. Allora proseguendo egli aggiunse:
— Era SiLla consolo nella robusta virilitá di dieci lustri l’anno susseguente alla uccisione del pretore Asellio. Chiedea essere capitano dell’esercito contro il piú glorioso e formidabile nemico de’ Romani, Mitridate. Mario, giá illustre per gli trionfi de’ Numidi, de’ Teutoni, de’ Cimbri, e per sei consolati, giunto all’anno settuagesimo, pingue di membra e infermo, stimolato da smania febbrile di ambizione, volea trarre gli anni estremi nella Cappadocia e