Pagina:Verri, Alessandro – Le notti romane, 1967 – BEIC 1958204.djvu/27

NOTTE I - COLLOQUIO II


sero da’ rostri con mano violenta. In questa guisa tu, ornai quasi prostituta deposto ogni rossore, perturbavi la Repubblica apertamente. Quindi il tuo insidiato ed oppresso collega fu costretto ricoverarsi nelle domestiche mura gran parte del suo consolato, a te solo abbandonando la libertá spirante nella braccia tue. Quando poi ottenuta la provincia delle Gallie fosti per dieci anni lontano da noi, ti preparavi ad essere vie piú funesto da vicino. Perocché ti furono quelle guerre quasi una palestra gloriosa in cui ti esercitavi a debellare i Romani di poi.

Rammenta il giorno infausto nel quale varcasti il Rubicone, e quindi entrasti in questa patria muta e tremante allo splendore deU’armi tue. Miseri trionfi, e trista disciplina delle tue legioni apportatrici a Roma di gloria fallace e di vera servitú! D’allora in poi schernendo la nostra libertá, quotidianamente ripeteva quella invereconda sentenza, che il nome di Repubblica era vano, che Siila era stato inavveduto deponendo la dittatura, e dovere ornai i Romani rispettare come leggi le tue parole. Ed ecco invaliti gli animi, e mascherati i volti, concorrere la maggior parte come gregge intorno al nuovo tiranno, e con trista gara contendere di superare altrui nella viltá. Incominciarono quindi spargersi nella moltitudine quelle voci insidiose le quali ti acclamavano re; si videro poscia le tue statue coronate di regio diadema, e questo Antonio, allora consolo, nella festa de’ Lupercali venne ignudo tripudiando in quella stolta celebritá, dove tu sedeva in trono d’oro, e ti offerse la reale corona. Egli si prostrò supplichevole a’ tuoi piedi affinché la accettassi, e tu scambievolmente rappresentando quasi tragico attore il rifiuto di quella, ne lasciasti dubbiosi qual fosse di voi piú esperto, l’uno nel fingere, l’altro nell’adulare. Eppure il fremito della moltitudine, il suo silenzio minaccioso a quella scena invereconda, faceano manifesto che ancora tanto non era da te depravato il volgo, che avesse dimenticato l’antico odio contro la regia dignitá. Ma se non fosse stata sufficiente la nostra sagacitá, siccome uomini oppressi dalla fortuna, a penetrare il cuore d’un tiranno, tu medesimo fosti sollecito di farcelo conoscere agevolmente. Avvegnaché L. Cotta, custode de’ libri Sibillini, spargea la voce che secondo quegli oracoli i Parti non doveano essere