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PROEMIO
Ornai dopo le varie notti successivamente vegliate ne’ tenebrosi
penetrali della terra e in mezzo di quelle or mirabili, or grate,
or tremende apparizioni, ascoltando l’antica maestosa favella,
le alte contese e gli autorevoli ragionamenti, io sentiva quasi
piegar la mente mia sotto l’ingombro di affannosi pensieri. Imperocché
avrei pur voluto narrare altrui cosí maraviglioso caso,
ma il timore di non apparire o credulo o mendace mi sforzava
al silenzio. Quindi mi perturbava il violento desiderio di ragionare
con quelle ombre, le quali finora pareano non curanti di me,
e qualunque volta io fui vicino a prorompere in alcuna discreta
inchiesta, mi frenò la voce nelle fauci la riverenza e lo stupore.
E se pur vincendo il ribrezzo io principiai con qualche parola,
Tullio subitamente con autorevole modo, stendendo la mano,
m’imponeva silenzio, ed io sommessamente lo ubbidiva. Alla
fine deliberai, se riapparissero quegli spettri, di mostrarmi loro
non piú timido mortale, ma audace e degno veramente di alti
colloqui co’ magnanimi Quiriti. Per la qual cosa alla consueta
ora amica delle larve io pervenni alle tombe, e in quelli oscuri
sentieri porgendo innanzi le mani, con dubbiosi passi m’inoltrai.
Poiché giunsi nell’interno, e toccando gli avelli riconobbi il luogo,
stetti appoggiando il fianco ad una tomba, attento e desideroso
di nuove maraviglie. Rimasi cosí io non so quale spazio di tempo,
che a me sembrò di molte e lente ore forse misurate dall’inquieta
mia ansietá. Quindi ornai disperava rivedere quelle apparizioni,
congetturando che fossero quelle anime giá ingolfate nel pelago
eterno.