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PARTE PRIMA


spirito, di manifestare la clemenza incomparabile del Dittatore, la inviolata fede, la generosa modestia con la quale temperò continuamente la sua tirannide piú tosto lusinghiera che violenta. Né tralasciò di addurre in esempio se medesimo, il quale, benché implacabile nemico, ottenne da lui vincitore non solo perdono e vita, ma la pretura della Gallia Cisalpina. E però conchiudea essere stato vinto in due modi, con l’armi e con la beneficenza. Entrò quindi Pomponio fra questi ragionamenti, e si diffuse narrando la necessitá di un perpetuo dittatore, e come niuno fosse mai in eccelsa potenza piú moderato di quello. Poich’eglino furono soddisfatti di rammentare quelle vicende, Catone che le avea ascoltate con grave raccoglimento, disse a Bruto: — Certo al consorte di mia figliuola aspettava l’eseguire alcuna impresa degna del sangue mio. — Poscia volgendosi al Dittatore soggiunse: — Cadesti esempio eterno che una usurpata podestá non è sicura né per favore di fortuna, né per armi vittoriose, né per la viltá de’ soggiogati, né per virtú dell’oppressore, ma che quella soltanto è certa la quale sia amata perché giusta. Io non pregio la tua clemenza, perocché ella altro non fu che una temperanza nelle malvagitá. Quindi io non ti concedo altra lode se non questa, che non vi fu mai cittadino piú tristo di te, né tiranno migliore. —


COLLOQUIO QUINTO
Orazio e Pollione disputano sulla indole di Ottaviano,
e poi questi ed Antonio contendono chi di loro due fosse piú tristo.


Mentre questi cosí ragionavano, Ottaviano rimase in silenzio siccome giá consapevole di quelle avventure. Ma vidi ch’egli, in mezzo di que’ terribili argomenti, lieto sorrise ed accolse benevolmente uno spettro che a lui si avvicinò. Avea la persona alquanto pingue, la statura mediocre, il sembiante giocondo, gli occhi nemici della tristezza. Recava nel suo aspetto piacevoli