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NOTTE III - COLLOQUIO IV


che avea stretto le stile nelle veglie notturne contro giuntami tuoi costumi? E dove? A’ rostri. Sí, dove la sua celeste eloquenza avea trionfato. Ma non isperare, o tristo, che per quegli oltraggi si scemi la fama delle virtú di Tullio o de’ vizi tuoi. No: invano di tua mano stessa, per ebrezza di gaudio, coronasti quel Popilio il quale accusato di fraticidio, e salvato dalla facondia di Tullio, fu di lui sicario, e ti recò le sue membra. Sarete ancora ambedue egualmente esecrati. Fulvia però, degna tua consorte, sola ti può contendere la gloria di quelle camificine; la quale emula di cosí fieri deliri, pose nel suo grembo il teschio, lo vilipese, lo scherní, ne trasse la lingua, la punse con un ago delle sue trecce. —

Mentre cosí Ottaviano declamava, Tullio sopportava modesto quella atroce ricordanza. Molte larve commiserando tale indegna morte volgeano a lui le pupille dolenti.

— Taci, — sciamò quindi Antonio, — perocché di quegli eventi siamo complici in modo che non possiamo contendere qual di noi sia innocente, ma solo qual sia men tristo. Ancora parmi sedere in colloquio di morte nell’isola del Reno. Odo il fremito della corrente intorno la sponda. Noi intanto ragionavamo sommessi, bisbigliavamo sospettosi che le circostanti legioni non udissero le sentenze di sangue. Io però mi dolgo di avere spenta questa face della nostra eloquenza. Niuna lingua fuorché la sua stessa potrebbe convenevolmente lodarlo. Fui spinto a tale vendetta dalla incredibile molestia delle sue declamazioni, le quali mi punsero assai piú che l’armi tue. Le sue parole penetravano come dardi nel cuore, confondevano la mia ambizione, perseguitavano la potenza mia. Pur se alcuna difesa hanno le odiose operazioni, io dirò che Tullio soffrí da me vincitore quella ingiuria la quale avrei dovuto sopportare io vinto da lui. E di tale animo suo, oltre le di lui parole stillanti fiele e calde di sdegno ostile, ed al Senato ed al popolo, era segno manifesto l’istigare ch’egli facea continuamente Bruto a dar morte a Caio mio fratello presso lui prigioniero. Alla quale non generosa vendetta Bruto ripugnò finché visse Tullio. Ma quando udí la di lui morte, il mio fratello inerme, in suo potere, in catene, non piú da temersi, egli uccise a placar lo spirito amico, castigando in lui la colpa