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NOTTE III - COLLOQUIO II


ciò che non vidi con gli occhi mortali, ma vedo coll’intelletto, ed è che forse l’Imperio crebbe, ma certo si scemò la virtú, onde avrete combattuto in lontane provincie vittoriosi, ma non liberi. — A quella sentenza Tullio declinò alquanto le pupille come in segno di mesto consenso, e quegli aggiunse: — Io pertanto ancora mi lodo perché discacciai Carneade ed i suoi seguaci cavillosi dalla nostra cittá. Essi chiamandosi amatori della sapienza, la oscuravano con sottilitá perniziose. Pronti egualmente a difendere o combattere il vero ed il falso, era nella bocca loro divenuta meretricia la eloquenza. Quindi io son certo che quando fra voi allignò quella fallace disciplina, la quale delle umane e divine cose disputa audacemente, e le agita come onde, si spense allora negli animi vostri l’amore delle virtú, e solo vi rimase quello di voi medesimi. Imperocché la sommissione alle leggi, il disprezzo della morte, la brama di nome illustre, la persuasione della giustizia, la temperanza nella vita civile e la benevolenza nella domestica, sono effetti importanti di antiche e sapienti instituzioni. Ma il trarre l’animo da questa bella severitá alle delizie de’ sensi ed alla superbia dell’intelletto, è opera di breve tempo e di niuna fatica. Sono giá gli uomini inchinevoli al vivere molle, ripugnanti al freno della legge, pronti a lanciarsi in quanti maggiori diletti sieno loro proposti. Quindi gli artifizi delle Muse e gli ozi delle meditazioni rivolgono l’animo dalla milizia a’ trastulli, dal fòro al silenzio, dal pubblico al privato, e rendono gli uomini inutili alla patria. Immersi in cosí dolce depravazione s’intiepidisce in loro il desiderio di libertá; divenuti poi servi contenti, stringono le spade al cenno del tiranno; adunati quindi in campo siccome greggi, altro non fanno con le vittorie loro se non acquistare compagni di quella servitú. Or io son certo che tanto avvenne di voi. — Quegli tacque, e non senza qualche sdegno Tullio rispose: — Ben ti mostri quale eri in vita, nemico delle filosofiche dottrine attribuendo loro quegli effetti perniziosi de’ quali presso noi esse non furono al certo cagione, ma il cieco impeto delle discordie civili. Ed invero sarebbe un tristo fato delle nobili dottrine ch’elle fossero un odioso possedimento ed un artifizio vile; né un popolo vittorioso e grande potesse insieme essere scienziato e caro alle