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PARTE PRIMA
qui ancora dubbiosi gl’intelletti se Marco Bruto debba giudicarsi
perfido o generoso. Quindi come in gran parte delle vostre dottrine,
in quelle principalmente nelle quali si ragiona di straordinari
doveri, parmi niun’altra sentenza piú sicura quanto il non affer
mare. —
Cosi Tullio conchiuse, quando s’inoltravano due larve non prima vedute. L’una era di aspetto feroce, armata di usbergo e d’elmo lucenti. Stringea con la destra un coltello grondante di sangue, cosí che le stille segnavano la via. Movea gli occhi terribili, avea nera e non prolissa barba, le ciglia minacciose, le labbra anelanti, i gesti superbi e risoluti. Tenea con la sinistra la mano ad una donzella, e seco la traeva. Quella mesta lo seguiva involta in candido manto. Il collo e le braccia rimaneano gran parte nude, e i piè solo cinti da leggiadri coturni. Ella chinava il volto, al quale faceano velo i prolissi capelli. Trasparivano fra loro i dolci occhi come stelle fra le nubi.
— Questa è colei, — sciamò il guerriero, — la piú misera, la piú gloriosa di tutte le fanciulle. Ecco il ferro spietato il quale per magnanima cagione immersi nel suo cuore innocente. Io amando lei da genitore, da carnefice la svenai. Ella pur qui geme inconsolabile dopo tanti volgimenti delle sfere, perché nel fiore della sua adolescenza usci delle membra delicate disgiunta per sempre dall’amante suo, quand’era prossima a surgere l’aurora nuziale. —
Scosse allora il volto la donzella, dal quale si sgombrò la capellatura cadendo sugli omeri, talché ella apparve tutta splendida per deliziosa bellezza. Ahi che forse la mano di Seusi, di Timanto, di Apelle avrebbe tremato nell’imitare la dolce tristezza spirante da quel volto maraviglioso! Or come stringerò io lo stile per adombrarlo con umile favella? Solo posso dire che sollevò gli occhi rugiadosi, e con tenera voce profferí parole simili a queste: — Ahi trista solitudine, nella quale errando perpetuamente, il valoroso, il bene amato Icilio io non incontro giammai! Perché le mie sembianze piacquero al decemviro tiranno? Misera bellezza, la quale io stimai preziosa, poich’era grata al mio fedele, ma funesta quando eccitò scellerati desideri nel persecutore delle mie