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NOTTE III - COLLOQUIO I


in queste considerazioni, ronzavano ancora le recenti sentenze nell’orecchio mio, e rimaneano le immagini nelle pupille.

Scesi pertanto la susseguente notte, vie piú bramoso di nuovi portenti, in quelle profonditá con pietosa riverenza. Né stetti guari anelando in quella aspettazione, perocché apparve immantenente Marco Tullio, e fattomisi incontro con lieto volto, inco minciò: — Illustre non solo è questo desiderio tuo di qui ragionare, ma ancora costante per gli ripetuti cimenti. Né soltanto è libero il tuo petto da’ palpiti del timore, ma vie piú ci vedi, piú brami di favellare con noi. — Ed io risposi: — È pur comune in questa vita che i guerrieri stieno intrepidi nelle battaglie contro nemico assetato del sangue loro. Perché fuggirò io dunque l’aspetto incorporeo di anime tali che nel velo delle membra ebbero per costume d’essere terribili a’ superbi, ed a’ supplichevoli benigne? Io vengo sommesso al vostro innocente imperio, e temo assai piú i viventi che voi: perché quelli sono perturbati da’ perniciosi appetiti, e voi gli avete deposti con l’ingombro caduco. E come può mai essere depravata quell’indole generosa in voi qui tersi nel pelago eterno, cosí che offendiate me vostro ammiratore? — Soggiunse Tullio con benevolenza: — Convenevole è il tuo giudizio sull’indole nostra, o postero sincero. E quantunque il mio Pomponio con la sua libera filosofia spirante greca mollezza abbia, siccome udisti, biasimati i vizi romani descrivendoli quasi infiniti e mostruosi, pur tanto non valse la sua mordace favella, che annoverasse fra loro la viltá. Imperocché nelle stesse nostre piú biasimevoli operazioni mai non mancò la maestá della grandezza e lo splendore della virtú, di quella spezialmente la quale ci movea a combattere soltanto co’ forti. —

Mentre cosí quegli ragionava meco, giá gli antri erano occupati da moltitudine infinita, onde volgendosi a quella, egli stette in silenzio. Tenea però le pupille fise ad una larva fra tutte a lui cagione di maraviglia. Ella era di sembianze severe e provette, cinta della toga consolare, e stringea per le mani due giovanetti che l’accompagnavano con fronte dimessa. Rimanea dubbioso il pensiero, se quel contegno fosse per conscienza di colpa o per onesta verecondia convenevole alla adolescenza loro. All’inol 7