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PARTE PRIMA


soddisfazione che lor mancava, mi avviai dalle pianure Insubri verso l’augusta Roma, oggetto delle perpetue mie speculazioni.

Chiunque abbia alquanto gustate le delizie dell’antica erudizione, mi fará testimonianza quali palpiti senta il cuore, allorché scendendo l’Apennino, la via declina alla celebrata cittá. Le pupille sono intente a scoprire la sommitá de’ sette colli, il petto brama lanciarsi tra’ preziosi monumenti, ogni pietra di antico edifizio per la via è materia di dotte congetture e di immagini deliziose. Giá entrato nella via Flaminia io rammemorava l’antica sua magnificenza da Rimini fino alla cittá, e il nome che ancora le rimane di quel consolo spento per la patria nella battaglia contro Annibaie al lago Trasimeno, E mentre l’intelletto era occupato da questa ebrezza di pensieri, entrai nella augusta porta, sembrandomi pur tanta la maestá di tale ingresso, da mantenere nell’animo quella grata illusione per cui mi credea entrare nella immensa e marmorea cittá di Augusto. Le estreme delizie quanto piú si sentono con l’animo, tanto meno si possono esprimere con le parole. Mi conviene perciò trapassare in silenzio quelle che m’inondarono il petto ne’ primi giorni veggendo il sacro Tevere, gli egiziani obelischi, i templi ancora foschi del vapore de’ sacrifizi, l’anfiteatro Flavio, il quale giace come gigante sbranato, e le colonne che descrivono le costumanze della milizia, e gli archi trionfali, e lo spazio del Foro, ed i mausolei, e le ruine maestose de’ circhi e delle terme, e quanti avanzi della romana splendidezza empiono l’animo di soave maraviglia.

Era quella stagione in cui i nembi ristorano la terra dall’estivo ardore. Sembra che il cielo, terso da quelli, risplenda piú zaffirino. Rinverdiscono le piante e le erbe illanguidite, e con la freschezza loro imitano la primavera. Tacea ornai la cicala stridente, e invece garrivano lieti gli augelli ricreandosi all’aura molle, ignari di quelle insidie che pur in tale stagione loro tenderebbero i nostri diletti struggitori. Suonò per la cittá una voce mirabile, che si fossero allora(a) scoperte le tombe de’ Scipioni, lungo tempo invano ricercate. Quindi io, tralasciando la con


(a) 1780.