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Tornando alla geometria non-archimedea è necessario assicurarsi se essa soddisfa alle condizioni di contenuto e di metodo sopra enunciate. Esaminando il continuo, quale ci viene fornito dall’osservazione diretta e greggia, per due oggetti rettilinei vale l’assioma d’Archimede, perchè qualunque essi siano, anche se non possiamo praticamente costruire un multiplo dell’uno maggiore dell’altro, potremo però considerare dei due oggetti una parte ennesima abbastanza piccola in modo che la verifica dell’assioma sia possibile per queste parti, e quindi fra i due oggetti stessi. Ma la estensione senz’altro di questo assioma a tutto lo spazio illimitato, non è ugualmente giustificata. Ed invero, quando noi passiamo ad ammettere che in ogni segmento idealizzato vi siano punti distinti dagli estremi, nè l’osservazione, nè l’intuizione ci conduce a stabilire l’assioma d’Archimede fra due segmenti che non si possono osservare. E siccome si dimostra che se esiste un segmento infinitesimo attuale esso si può considerare rispetto a un segmento finito con infinita approssimazione come nullo, si conclude che se anche esistesse fisicamente un tale segmento, noi non potremmo vederlo. Possiamo però applicare la nostra intuizione in ogni campo di segmenti finiti, che soddisfano cioè all’assioma d’Archimede. La geometria non-archimedea soddisfa adunque alle condizioni che alla geometria in generale sono imposte dalla intuizione spaziale, e quindi il suo contenuto è geometricamente giustificato.

Ma un altro problema, pure geometrico, s’affaccia in seguito alle nostre premesse, quello cioè se le ipotesi non confermate dall’esperienza possono avere mercè osservazioni più accurate o più estese un’effettiva rappresentazione nel mondo fisico. Fra queste ipotesi le più caratteristiche sono quelle delle parallele, del continuo e degli iperspazi. Abbiamo già osservato che se l’ipotesi euclidea fosse esclusa, non si potrebbe più parlare di spazio euclideo. Per il continuo rettilineo osserviamo invece che fisicamente l’esistenza dell’infinito e dell’infinitesimo attuale non contraddice alla nostra intuizione, però nessuna esperienza ci conduce nè ci potrà condurre fuori delle grandezze finite, solo possiamo dire, per un teorema sopra ricordato, che: se lo spazio fisico fosse infinito attuale rispetto al campo delle nostre osservazioni, nello spazio fisico finito, supposto anche illimitato, varrebbe la geometria euclidea.

L’ipotesi fisica invece di uno spazio a quattro o più dimensioni fu da me combattuta altrove, associandomi all’Helmholtz1. In ogni caso nessuna utilità ci spinge a questa ipotesi, che sarebbe puramente fantastica. Eppure è curioso che certe idee siano scaturite da intuizioni anche errate. L’idea infatti di uno spazio a più di tre dimensioni non è sorta dall’Ausdehnungslehre del Grassmann, per il quale lo spazio fu sempre a tre dimensioni, e quindi anche la geometria, e tanto meno è sorta dal nominalismo geometrico usato dal Cayley, dal Cauchy, dal Riemann e da altri nello studio di certe varietà analitiche a più di tre dimensioni; non dalla mia costruzione geometrica degli iperspazi, ma sorse dall’ipotesi fisica stessa, che fu la prima a presentarsi, e che ha perciò ostacolato l’accettazione dell’ipotesi matematica e ha fatto spesso confondere presso il volgo i sostenitori della geometria a più di tre dimensioni coi cosidetti medium alla Zöllner e cogli spiritisti.

  1. A., Il vero nella matematica (discorso inaugurale, nov. 1906. Padova).