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capitolo iii. 11

piacenza che aveva dello straordinario. Dal 1340 in poi si era sempre visto invariabilmente un van Tricasse, divenuto vedovo, rimaritarsi con una van Tricasse più giovane di lui, la quale, vedova, andava a nozze con un van Tricasse più giovane di lei, il quale vedovo, ecc., senza soluzione di continuità. Ciascuno moriva alla sua volta con regolarità meccanica. Ora la degna signora Brigida van Tricasse era giunta al suo secondo marito, e se pure non voleva mancare a tutti i suoi doveri, doveva precedere nell’altro mondo il suo sposo, dieci anni più giovine di lei, per far posto ad una nuova van Tricasse, sulla qual cosa l’onorevole borgomastro faceva assegnamento affine di non rompere le tradizioni della famiglia.

Tale era questa casa tranquilla e silenziosa, le cui porte non stridevano, i cui vetri non tremavano, i cui pavimenti non gemevano, i cui camini non russavano, le cui banderuole non ringhiavano, i cui mobili non scricchiolavano, le cui serrature non cigolavano ed i cui ospiti non facevano rumore più della propria ombra. Il divino Arpocrate l’avrebbe certamente scelta per il tempio del Silenzio.



III.


In cui il commissario Passauf fa un’entrata inattesa e chiassosa.


Quando l’interessante conversazione, che abbiamo riferita, aveva incominciato fra il consigliere ed il borgomastro, erano le due e tre quarti dopo mezzodì. Fu alle tre e quarantacinque minuti che van Tricasse accese la grossa pipa che poteva contenere un quartuccio di tabacco, e fu alle cinque e trenta cinque minuti che egli finì di fumare. In tutto questo tempo i due interlocutori non dissero parola.

Verso le sei, il consigliere, che procedeva sempre per pretermissione od aposiopesi, riattaccò il filo in questi termini:

«Dunque, risolviamo?...

— Di non risolver nulla, rispose il borgomastro.