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capitolo vi. 37

vivace. Raul non aspetta le domande di Valentina e Valentina non aspetta le risposte di Raul. Il passaggio adorabile:

«Stringe il periglio,
     L’amore oblio,»

diventa uno di quei rapidi due per quattro che hanno fatto la rinomanza di Offenbach quando egli fa danzare dei congiurati qualsiasi. L’andante amoroso:

«Quella voce lusinghiera
     Dolcemente al cor mi scese,»

non è altro che un vivace furioso, ed il violoncello dell’orchestra non si dà più pensiero di imitare le inflessioni della voce del cantante, come è indicato nello spartito. Invano Raul esclama:

«Ah ripeti il dolce accento
     Che la calma al cor ridona.»

Valentina non può ripetere nulla di dolce, si sente che un fuoco inusato la divora. I suoi si ed i suoi do sopra acuti echeggiano spaventosamente. Si dimena, gesticola; è tutta in fiamme.

S’intende la campana; ma che campana ansimante! Evidentemente chi la suona non è più padrone di sè, è uno scampanio spaventoso che fa gara di violenza coi furori dell’orchestra.

Finalmente la stretta che termina quell’atto magnifico:

«Il rimorso crudel che mi assale
     Sull’amor del mio bene prevale,»

che il compositore indica: allegro con moto, è fatto con un prestissimo scapigliato. Pare un convoglio diretto. Si riode la campana; Valentina cade svenuta e Raul si precipita dalla finestra.

Era tempo. L’orchestra, come ubbriaca, non avrebbe potuto


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