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capitolo v. 105


Mastro Zaccaria s’impadronì della lunga chiave, che rassomigliava ad una vipera allungata, e corse all’orologio cui diede la corda con fantastica rapidità. Lo stridore della molla faceva male ai nervi. Il vecchio orologiaio girava sempre, senza che il suo braccio si arrestasse, e pareva che quel movimento di rotazione fosse indipendente dalla sua volontà. Girò sempre più presto, con bizzarre contorsioni, finchè cadde sfinito.

«Eccolo montato per un secolo.

Aubert uscì dalla sala come pazzo. Dopo lunghi giri egli trovò l’uscita della casa maledetta e si slanciò nella campagna. Tornò all’eremitaggio di Nostra Signora del Sex e parlò al sant’uomo parole così disperate, che costui acconsentì ad accompagnarlo al castello di Andernatt.

Se in quelle ore d’angoscie Geranda non aveva pianto, gli è che la fonte delle lagrime le si era inaridita. Mastro Zaccaria non aveva lasciato l’immensa sala. Egli veniva ogni minuto ad ascoltare i battiti regolari del vecchio orologio. Frattanto erano suonate le dieci e, con gran spavento di Scolastica, queste parole erano apparse sul quadro d’argento:

L’uomo può divenire eguale a Dio.

Non solamente il vecchio non era più offeso da tali massime empie, ma le leggeva delirando e si compiaceva in quei pensieri d’orgoglio, intanto che Pittonaccio gli girava intorno.

L’atto di matrimonio doveva essere segnato alla mezzanotte. Geranda, quasi inanimata, più non vedeva nè intendeva. Il silenzio era solo interrotto dalle parole del vecchio e dal ghignare di Pittonaccio. Suonarono le undici. Mastro Zaccaria diè un sussulto e lesse con voce sonora questa bestemmia:

L’uomo debb’essere lo schiavo della scienza
E deve sagrificare per essa parenti e famiglia.

«Sì, esclamò egli, non v’ha che la scienza a questo mondo.

Le frecce serpeggiavano sul quadrante di ferro con fischi da vipera e l’orologio batteva colpi precipitati.