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CAPITOLO XVII.


— Camerata, non solamente siamo per voi compagni, ma amici — ed ora vi ascolto.

L’incognito passò la mano sugli occhi, era preso da una specie di tremito e stette alcuni istanti senza poter proferire parola.

— Signore, diss’egli finalmente, vengo a pregarvi d’accordarmi una grazia.

— Quale?

— Voi avete, a quattro o cinque miglia di qui, a piedi della montagna, un ricinto per i vostri animali domestici. Codesti animali hanno bisogno di essere curati; mi volete permettere di vivere laggiù con essi?

Cyrus Smith guardò per alcuni istanti il disgraziato con un sentimento di profonda commiserazione, poi disse:

— Amico mio, il ricinto non ha che delle stalle buone appena per gli animali.

— Sarà abbastanza per me.

— Amico, soggiunse Cyrus Smith, non vi contrasteremo in nulla. Vi piace vivere al ricinto? sia pure. D’altra parte, sarete sempre il benvenuto al Palazzo di Granito. Ma postochè volete vivere al ricinto, piglieremo le disposizioni necessarie perchè vi abbiate a star bene.

— Non serve, ci starò sempre bene comunque sia.

— Amico mio, aggiunge l’ingegnere, il quale insisteva a bell’a posta in questo appellativo cordiale, voi ci lascerete giudici di quanto dobbiamo fare.

— Grazie, disse l’incognito andandosene.

L’ingegnere fece subito conoscere ai compagni la proposta che gli era stata fatta; fu deciso di costrurre nel ricinto una casa di legno e di renderla comoda il più possibile.

Il giorno medesimo i coloni si recarono al ricinto cogli utensili necessari, e non era scorsa una settimana che la casa era pronta a ricevere l’ospite suo.

Era stata rizzata ad una ventina di passi dalle stalle,