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La calma dell’incognito era profonda, l’abbiamo detto; egli mostrava per l’ingegnere, di cui subiva visibilmente l’influenza, una specie di simpatia. Cyrus Smith risolvette adunque di provarlo, trasportandolo in un altro luogo, dinanzi a quell’oceano che gli occhi suoi avevano un tempo l’abitudine di contemplare; al lembo di quelle foreste che dovevano rammentargliene altre in cui erano passati tanti anni della sua vita.

— Ma, disse Gedeone Spilett, possiamo noi sperare che messo in libertà non fuggirà?

— È un esperimento da fare, rispose l’ingegnere.

— Buono! disse Pencroff; quando costui avrà lo spazio dinanzi a sè, e sentirà l’aria aperta, se la darà a gambe.

— Non lo credo.

— Proviamo, disse Gedeone Spilett.

— Proviamo, rispose l’ingegnere.

Quel giorno era il 30 ottobre; da nove giorni, adunque, il naufrago dell’isola Tabor stava prigioniero al Palazzo di Granito; faceva caldo, un bel sole dardeggiava i suoi raggi sull’isola.

Cyrus Smith e Pencroff andarono alla camera occupata dall’incognito, che trovarono coricato presso alla finestra intento a guardare il cielo.

— Venite, amico mio, gli disse l’ingegnere.

L’incognito si levò subito, fissò l’occhio su Cyrus Smith e lo seguì, nel mentre il marinajo camminava dietro lui, poco fiducioso del risultato dell’esperienza. Giunti alla porta, Cyrus Smith e Pencroff gli fecero prender posto nell’ascensore, mentre Nab, Harbert e Gedeone Spilett li aspettavano a’ piedi del Palazzo di Granito. La cestella scese in pochi istanti, e tutti furono riuniti sul greto. I coloni si allontanarono un poco dall’incognito in modo da lasciargli un po’ di libertà.

Costui fece qualche passo avanzandosi verso il mare,