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l’uno de’ compagni, talvolta l’altro, talvolta tutti si univano a lui. Cianciavano più spesso di cose che si riferivano alla marina e che dovevano impressionare di più un marinajo. A volte l’incognito prestava una attenzione di quanto si diceva, ed i coloni giunsero in breve a persuadersi che in parte erano compresi. Talvolta anche l’espressione del viso di lui era profondamente dolorosa; prova ch’egli soffriva dentro di sè, perchè la sua faccia non avrebbe potuto ingannare a tal punto; ma egli non parlava, sebbene talora si potesse credere che qualche parola stesse per uscirgli dalle labbra.

Ad ogni modo, il disgraziato era tranquillo e triste. Ma la sua calma non era forse che apparente? La sua tristezza non era essa altro che la conseguenza della sua prigionia? Non si poteva affermar nulla an cora. Non vedendo più se non certi oggetti, ed in un campo limitato, continuamente in contatto dei coloni, ai quali doveva finire coll’avvezzarsi, non avendo alcun desiderio da soddisfare, vestito meglio, era naturale che la sua natura fisica si modificasse a poco a poco. Ma si era egli penetrato d’una vita novella; oppure, per adoperare una parola che poteva giusta mente applicarsi a lui, si era egli solo addomesticato come un animale in faccia al suo padrone? Era questo un importante quesito che Cyrus Smith era impaziente di risolvere: però non volea far violenze al suo ammalato; giacchè per lui l’incognito non era che un ammalato, e chissà se doveva mai essere un convalescente?

Pensate come l’ingegnere l’osservasse ad ogni istante, come ne spiasse l’anima, se si può parlar così, come fosse pronto ad afferrarla.

I coloni seguivano con sincera commozione tutte le fasi della cura intrapresa da Cyrus Smith. Essi l’aiutavano pure in quest’opera d’umanità, e tutti, tranne forse l’incredulo Pencroff, giunsero in breve a partecipare alla sua speranza ed alla sua fede.