Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/63


Ma Cyrus Smith, accostandosi, gli pose la mano sulla spalla con un atto pieno d’autorità, e lo guardò con dolcezza infinita. Allora il disgraziato, come affascinato, si tranquillò a poco a poco; abbasso gli occhi, curvò la fronte, e non fece più alcuna resistenza.

— Povero abbandonato! mormorò l’ingegnere.

Cyrus Smith l’aveva osservato attentamente.

A giudicarne dall’apparenza, quella miserabile creatura più nulla aveva d’umano; eppure Cyrus Smith, come già aveva fatto il reporter, sorprese nel suo sguardo un barlume d’intelligenza.

Fu deciso che l’abbandonato, o per dir meglio l’incognito — giacchè fu così che i nuovi compagni lo designarono quind’innanzi — abitasse in una delle camere del Palazzo di Granito, da cui non poteva fuggire. Egli vi si lasciò condurre senza difficoltà; curandolo bene, si poteva sperare di farne un giorno un buon compagno dei coloni dell’isola Lincoln.

Cyrus Smith durante la colazione che Nab aveva affrettato giacchè il reporter, Harbert e Pencroff morivano di fame si fece raccontare minuziosamente tutti i particolari che avevano segnalato il viaggio d’esplorazione nell’isolotto; andò d’accordo cogli amici in questo, che l’incognito doveva essere inglese od americano, perchè il nome di Britannia lo faceva immaginare, e d’altra parte attraverso quella barba incolta, sotto quella capigliatura arruffata, l’ingegnere aveva creduto di riconoscere i tratti distintivi dell’anglo-sassone.

— Ma ci penso! disse Gedeone Spilett rivolgendosi ad Harbert, tu non ne hai detto come hai fatto l’incontro di questo selvaggio, e non ne sappiamo nulla tranne che ti avrebbe strangolato se non fossimo arrivati in tempo a liberarti.

— In fede mia sarei imbarazzato a narrar l’accaduto. Io ero, credo, occupato a raccogliere piante, quando intesi come il rumore d’una valanga che ca-