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— In questo momento è possibile, rispose Cyrus Smith, ma solo alcuni mesi fa il disgraziato era un uomo al par di voi e di me. E chissà che sarebbe dell’ultimo superstite di noi, dopo una lunga solitudine in quest’isola! Guai al solo, amici miei, bisogna credere che l’isolamento possa presto distruggere la ragione, dal momento che avete incontrato questa povera creatura in tale stato!

— Ma, signor Cyrus, domandò Harbert, che vi induce a credere che l’abbrutimento di questo disgraziato risalga a pochi mesi soltanto?

— Perchè il documento che abbiamo trovato era stato scritto di recente, rispose l’ingegnere, e solo il naufrago ha potuto scrivere quel documento.

— A meno che, fece osservare Gedeone Spilett, non sia stato scritto da un compagno di quest’uomo, morto dipoi.

— È impossibile, mio caro Spilett.

— Perchè? domandò il reporter.

— Perchè il documento avrebbe parlato di due naufraghi, rispose Cyrus Smith, mentre parla di uno solo.

Harbert raccontò in poche parole gli incidenti della traversata, ed insistette in quel fatto curioso d’una specie di risurrezione passeggiera avvenuta nello spirito del prigioniero, quando per un istante era ridivenuto marinajo nel più forte dell’uragano.

— Bene, Harbert, rispose l’ingegnere, tu hai ragione di dar grande importanza a tal fatto. Questo disgraziato non deve essere incurabile, e solo la disperazione lo ha così ridotto. Ma qui ritroverà i suoi simili, e posto che vi ha un’anima ancora in lui, quest’anima noi la salveremo.

Il naufrago dell’isola Tabor, con gran pietà dell’ingegnere e grande stupore di Nab, fu allora tratto fuori del camerino che occupava a prua del Bonaventura; una volta a terra, egli manifestò subito la volontà di fuggirsene.