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morte, era serena. Dalle sue labbra sfuggivano talvolta parole incomprensibili che si riferivano ad alcuni incidenti della sua strana esistenza. Si sentiva che la vita si ritirava a poco a poco da quel corpo, le cui estremità erano già fredde.

Una o due volte ancora egli volse la parola ai coloni che gli stavano a fianco, e sorrise l’ultimo sorriso che si continua fin nella morte.

Finalmente verso la mezzanotte il capitano Nemo riuscì, facendo uno sforzo supremo, ad incrociare le braccia sul petto come se avesse voluto morire in quell’atteggiamento. Verso il mattino tutta la sua vita erasi rifugiata nello sguardo. Un ultimo fuoco brillò sotto quella pupilla, in cui tante fiamme s’erano accese altre volte. Poi mormorò queste parole: “Dio e patria!...” e spirò dolcemente.

Allora Cyrus Smith, curvandosi, chiuse gli occhi di colui che era stato il principe Dakkar e che non era nemmanco più il capitano Nemo.

Harbert e Pencroff piangevano. Ayrton asciugava una lagrima furtiva, Nab stava inginocchiato presso al reporter, mutato in statua.

E Cyrus Smith, sollevando la mano sopra il morto: “Dio abbia l’anima sua,” disse, e volgendosi verso i compagni, aggiunse:

“Preghiamo per colui che abbiamo perduto!”

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Alcune ore dopo i coloni adempivano alla promessa fatta al capitano, compiendo l’ultima volontà del morto.

Cyrus Smith ed i compagni lasciarono il Nautilus, portando seco l’unico ricordo del loro benefattore, quel forziere, che conteneva ricchezze sterminate. La maravigliosa sala sempre inondata di luce fu chiusa attentamente. Fu allora inchiavardata l’apertura del boccaporto, in guisa che non una goccia d’acqua avrebbe potuto penetrare nel Nautilus.