Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/316


Durante una lunga prostrazione, che lo tenne quasi fuori dei sensi, Cyrus Smith e Gedeone Spilett osservarono con attenzione lo stato del malato. Era chiaro che il capitano si spegneva a poco a poco. La forza veniva meno a quel corpo già sì robusto ed ora fragile invoglio di un’anima che stava per sfuggirsene.

Tutta la vita era concentrata nel cuore e nel cervello. L’ingegnere ed il reporter si erano consultati a bassa voce. Vi era qualche cura da prodigare all’ammalato? Potevasi, se non salvarlo, prolungargli la vita per alcuni giorni?

Egli medesimo aveva detto che non vi era alcun rimedio, che aspettava tranquillo la morte, che non temeva.

— Non possiamo far nulla, disse Gedeone Spilett.

— Ma di che malattia muore? domandò Pencroff.

— Si spegne! rispose il reporter.

— Pure, soggiunse il marinajo, se lo trasportassimo all’aria aperta, al sole, forse si rianimerebbe.

— No, Pencroff, rispose l’ingegnere, non vi è nulla da tentare, e poi il capitano Nemo non acconsentirebbe a lasciare il suo bordo. Da trent’anni vive sul Nautilus, ed è sul Nautilus che vuol morire.

Senza dubbio il capitano Nemo udì la risposta di Cyrus Smith, perchè si drizzo, e con voce debole, ma sempre chiara:

— Avete ragione! signore, io devo e voglio morire qui, ed ho perciò una domanda a farvi.

Cyrus Smith ed i suoi compagni si erano accostati al divano ed accomodarono i cuscini in guisa che il morente fosse meglio appoggiato. Si potè vedere allora il suo sguardo arrestarsi su tutte le maraviglie di quella sala illuminata dai raggi elettrici, che passavano attraverso gli arabeschi d’un soffitto luminoso. Guardò egli uno per uno i quadri attaccati su splendide tappezzerie di damasco, capilavori di maestri italiani, fiamminghi, francesi, le