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munizioni e di viveri, ed al bisogno ci servirà di trincea.

— Avanti dunque! disse Gedeone Spilett.

Il carro uscì dal bosco e mosse senza rumore verso la palizzata. Profonda era allora l’oscurità, il silenzio perfetto come nel momento in cui Pencroff ed il reporter si erano allontanati strisciando a terra. L’erba fitta soffocava interamente il rumore dei passi.

I coloni erano pronti a far fuoco. Jup, sotto l’ordine di Pencroff, veniva dietro, e Nab conduceva Top al guinzaglio perchè non si slanciasse innanzi.

Apparve presto la radura. Era deserta. Senza esitare, il piccolo drappello mosse verso il ricinto. In breve tempo fu attraversata la zona pericolosa. Nessuna schioppettata. Quando il carro fu giunto alla palizzata, s’arresto. Nab rimase alla testa degli onaggas per trattenerli; l’ingegnere, il reporter, Harbert e Pencroff si diressero verso l’uscio per accertarsi che fosse sbarrato all’interno. Uno dei battenti era aperto!

— Ma che dicevate? domandò l’ingegnere volgendosi al marinajo ed a Gedeone Spilett.

Costui era stupefatto.

— Sull’anima mia, disse Pencroff, questa porta era chiusa poc’anzi!

I coloni allora esitarono. Forse che i deportati si trovarono al ricinto al momento in cui Pencroff ed il reporter ne facevano la ricognizione! Non vi poteva esser dubbio in ciò, giacchè la porta allora chiusa non aveva potuto essere aperta che da essi. O vi erano ancora tutti, o uno era uscito.

Tutte queste domande si presentarono istantaneamente allo spirito di ciascuno; ma come rispondervi?

In quella Harbert, che si era fatto alcuni passi innanzi entro il ricinto, rinculò precipitosamente ed afferrò la mano di Cyrus Smith.

— Che cosa è stato? domandò l’ingegnere.

— Una luce!