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sollevarono il materasso e lo deposero sul fondo del carro fra i due ridoli.

Il tempo era bello. Vivi raggi di sole si cacciavano attraverso gli alberi.

— Sono pronte le armi? domandò Cyrus Smith.

Erano pronte. L’ingegnere e Pencroff, armati ciascuno d’un fucile a due colpi, e Gedeone Spilett brandendo la carabina, più non avevano che a partire.

— Stai bene, Harbert! domandò l’ingegnere.

— Ah! signor Cyrus, rispose il giovane, state tranquillo, non morrò lungo la strada.

Così parlando si vedeva che il povero fanciullo faceva appello a tutta la sua energia e che con un supremo sforzo di volontà tratteneva le forze che stavano per spegnersi.

L’ingegnere si sentì stringere dolorosamente il cuore. Esitò ancora a dare il segnale della partenza, ma sarebbe stato far disperare Harbert e forse anco ucciderlo.

— In cammino, disse Cyrus Smith.

La porta del ricinto fu aperta; Jup e Top, che sapevano tacere a tempo e luogo, si precipitarono innanzi. Il carro uscì, la porta fu chiusa, e l’onagga, guidato da Pencroff, s’avanzd a passo lento.

Certo meglio sarebbe stato prendere altra via da quella che moveva direttamente dal ricinto al Palazzo di Granito, ma il carro avrebbe trovato gran difficoltà a muoversi sotto i boschi. Bisogno dunque seguir quella via, benchè dovesse essere conosciuta dai deportati.

Cyrus Smith e Gedeone Spilett camminavano dai due lati del carro pronti a rispondere ad ogni attacco; pure non era probabile che i deportati avessero ancora abbandonato l’altipiano di Lunga Vista. Il biglietto di Nab era evidentemente stato scritto e mandato appena i deportati vi si erano mostrati.

Ora quel biglietto era datato dalle sei del mattino,