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tra piaga contusa insanguinava la schiena di Harbert, la palla ne uscì subito.

– Dio sia lodato! esclamò il reporter, la palla non è rimasta nel corpo e non dovremo estrarla.

– Ma il cuore? domandò Cyrus Smith.

– Il cuore non è stato toccato, altrimenti Harbert sarebbe morto.

– Morto! esclamò Pencroff mandando un ruggito.

Il marinajo aveva solo inteso le ultime parole pronunziate da Gedeone Spilett.

– No, Pencroff, no, il suo cuore batte sempre, anzi ha mandato un gemito; ma nel suo stesso interesse calmatevi, abbiamo bisogno di freddezza d’animo; non fatecela perdere.

Pencroff tacque ed avvenne in lui una reazione; grosse lagrime gl’inondavano il viso.

Frattanto Gedeone Spilett. cercava di annodare le sue memorie e di procedere con metodo. Stando alle sue osservazioni, non vi era dubbio, per lui, che la palla entrata dinanzi fra la terza costa e la quarta fosse uscita di dietro fra la settima e l’ottava. Ma quale danno aveva potuto cagionare il suo passaggio? Quali organi aveva colpito? Questo a mala pena l’avrebbe potuto dire un chirurgo di professione, il reporter no certo.

Sapeva però egli una cosa: ed è che bisognava impedire la strozzatura infiammatoria delle parti lese, poi combattere la febbre derivata dalla ferita, ferita mortale forse! Ora, quali topici, quali antiflogistici adoperare? Con quale mezzo impedire la cancrena? In ogni caso, il più importante era che le due piaghe fossero bendate senza indugio; non parve necessario a Gedeone Spilett di provocare un nuovo scolo di sangue, lavando con acqua tiepida e comprimendo le labbra, poichè l’emorragia era stata abbondante, e già troppo indebolito era Harbert per la perdita del sangue.