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non si risparmiò nè legna, nè carbone. Cyrus Smith aveva preparato un secondo camino nella gran sala, ed era là che si passavano le lunghe sere a conversazione durante il lavoro, lettura nelle ore d’ozio, e il tempo passava con profitto per tutti.

Era una vera festa pei coloni, quando da quella sala illuminata da candele, ben riscaldata dal carbon fossile, dopo un buon desinare, colla chicchera di caffè di sambuco fumante, colle pipe che mandavano nugoli di fumo, essi udivano l’uragano muggire al di fuori. Avrebbero essi provato un godimento perfetto, se il godimento potesse mai esistere per chi è lungi da’ suoi simili e non ha comunicazione possibile con essi? Cianciavano sempre del loro paese, degli amici che avevano lasciati, della grandezza della repubblica americana, la cui potenza non poteva che crescere, e Cyrus Smith, ch’era stato involto nelle faccende dell’Unione, guadagnava l’attenzione degli uditori coi suoi racconti, colle sue narrazioni e co’ suoi pronostici.

Ma un giorno Spilett fu tratto a dirgli:

— Ma infine, tutto questo movimento industriale e commerciale a cui voi predicate una progressione costante, non corre forse il rischio d’essere un giorno arrestato assolutamente?

— Arrestato! e perchè?

— Dalla mancanza del carbone, che si può chiamare il più prezioso dei minerali.

— Sì, il più prezioso infatti, rispose l’ingegnere, e sembra che la natura abbia voluto darne una prova facendo il diamante, che non è altro se non carbone puro cristallizzato.

— Non volete già dire, disse Pencroff, che si arderanno i diamanti a guisa di carbon fossile nei focolari.

— No, amico mio, rispose l’ingegnere.

— Pure, disse Spilett, io insisto. Non negate che