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inalberata. Era ben quella dei predoni del mare, era ben quella che il Duncan doveva portare, se i deportati fossero riusciti nei loro infami propositi.
Non si perdette tempo.
— Amici miei, disse l’ingegnere, forse quella nave vuol solo osservare i contorni dell’isola, forse il suo equipaggio non sbarcherà. Checchè ne sia, dobbiamo fare di tutto per nascondere la nostra presenza. Il molino è troppo riconoscibile; vadano Ayrton e Nab a smontarne le ali, nascondiamo pure sotto fitti rami le finestre del Palazzo di Granito, siano spenti tutti i fuochi e nulla tradisca la presenza dell’uomo in quest’isola.
— E la nostra scialuppa? disse Harbert.
— Oh! rispose Pencroff, essa è al sicuro nel porto Pallone, e sfido quei cialtroni a trovarla.
Gli ordini dell’ingegnere furono subito eseguiti. Nab ed Ayrton salirono sull’altipiano e presero tutte le cautele necessarie perchè ogni indizio d’abitazione sparisse.
Mentre attendevano a quella bisogna, i loro compagni andarono al lembo del bosco del Jacamar d’onde portarono gran quantità di rami e di liane, che dovevano ad una certa distanza rappresentare una vegetazione naturale e nascondere così le aperture della muraglia di granito.
Al medesimo tempo le munizioni e le armi furono disposte in guisa da poter servire all’istante in caso d’improvvisa aggressione.
Com’ebbero prese tutte quelle precauzioni, Cyrus Smith disse:
— Amici miei — ed in così dire la sua voce era commossa — se i miserabili vogliono impadronirsi della nostra isola, noi la difenderemo, non è vero?
— Sì, Cyrus, e se sarà necessario morremo per difenderla.
L’ingegnere porse la mano ai compagni, che la strinsero con effusione.