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— Il Duncan! mormorò Ayrton... diggià!

Quest’ultima parola sfuggì per così dire involontariamente dalle labbra di Ayrton, il quale lasciò cadere la testa fra le mani.

Dodici anni d’abbandono sopra un isolotto non gli sembravano dunque un’espiazione sufficiente? Il colpevole pentito non si sentiva egli perdonato ancora sia ai suoi propri occhi, sia agli occhi degli altri?

— No, disse, non può essere il Duncan.

— Guardate, Ayrton, disse allora l’ingegnere, giacchè importa sapere come regolarci.

Ayrton prese il cannocchiale e lo appunto nella direzione indicata.

Per alcuni minuti osservò egli l’orizzonte senza muoversi, senza proferir parola, poi disse:

— È veramente una nave, ma non credo che sia il Duncan.

— Perchè? domandò Gedeone Spilett.

— Perchè il Duncan è uno yacht a vapore, ed io non vedo alcuna traccia di fumo nè sopra nè vicino à quel bastimento.

— Forse naviga solamente a vela, fece osservare Pencroff; il vento è buono per la strada che sembra seguire, e a quel bastimento deve importare il risparmio del carbone, essendo tanto lontano dall’Inghilterra.

— Potete aver ragione, signor Pencroff, rispose Ayrton: forse quella nave ha spenti i fuochi; lasciamola adunque venire a costa e sarà tolto ogni dubbio.

Ciò detto Ayrton andò a sedersi in un cantuccio della gran sala e vi stette silenzioso. I coloni discussero ancora circa la nave incognita, ma Ayrton non prese parte alla discussione.

Tutti si trovarono allora in una condizione di spirito che non avrebbe loro permesso di continuare i lavori.