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percorse rapidamente l’orizzonte, arrestandosi sul punto indicato, vale a dire su quello che aveva prodotto la macchia impercettibile della prova fotografica.

— Per mille diavoli! è proprio una nave! diss’egli con voce che non denotava una soddisfazione straordinaria.

— E viene essa alla nostra volta? domandò Gedeone Spilett.

— Impossibile affermare nulla ancora, rispose Pencroff, perchè solo l’alberatura appare sull’orizzonte, e non si vede scafo.

— Che si ha a fare? domandò Harbert.

— Aspettare, rispose Cyrus Smith.

E per gran tempo i coloni stettero silenziosi in preda a tutt’i pensieri, a tutte le commozioni, a tutte le paure, a tutte le speranze che poteva far nascere in essi quell’incidente, il più grave che fosse avvenuto dopo il loro arrivo sull’isola Lincoln.

Certo i coloni non erano nella condizione di naufraghi abbandonati sopra un isolotto sterile, i quali contrastano la loro miserabile esistenza ad una natura matrigna, e sono di continuo divorati dal bisogno di rivedere le terre abitate. Pencroff e Nab, sopra tutti, si trovavano così felici e così ricchi, che non avrebbero lasciato senza rammarico la loro isola, tanto più che s’erano avvezzati a quella vita nuova in mezzo a quel dominio che la loro intelligenza aveva per così dire incivilito! Ma la nave recava ad ogni modo notizie del continente; era forse un pezzo della patria che veniva loro incontro, portava creature simili ad essi, ed è naturale che il loro cuore sussultasse vedendola.

Ogni tanto Pencroff ripigliava il cannocchiale e s’appoggiava alla finestra, d’onde esaminava con estrema attenzione la nave, che era distante ben venti miglia nell’est.

I coloni non avevano adunque verun mezzo di se-