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erano tirati indietro per meglio osservare quanto accadesse sulle finestre del Palazzo di Granito.

Il reporter, colla carabina spianata, mirava l’uscio.

L’arco fu teso, la freccia fischiò tirandosi dietro la corda ed andò a passare fra gli ultimi due scalini.

L’operazione era riuscita.

Subito Harbert prese l’estremità della corda, ma mentre dava una scossa per far ricadere la scala, un braccio, passando lestamente fra il muro e la corda, la afferrò e la trasse entro il Palazzo di Granito.

— Cialtrone! esclamò il marinajo, se una palla può farti felice non avrai da aspettare un pezzo.

— Che cosa è stato? domandò Nab.

— Non hai tu riconosciuto?...

— No.

— È una scimmia, un macaco, un sapajù, un guenone, un gorilla, un orangotano, un babbuino, un sagoino! La nostra abitazione fu invasa dalle scimmie, che si sono arrampicate per la scala durante la nostra assenza.

Ed appunto in quella, come per dar ragione al marinajo, tre o quattro quadrumani si affacciavano alla finestra di cui avevano aperte le imposte e salutavano i veri proprietarî con mille contorcimenti e mille smorfie.

— Lo sapeva bene che era una burletta; ma ecco uno di quei burloni che pagherà la pena per gli altri!

Così dicendo, spianò il fucile, tolse di mira una delle scimmie e fece fuoco. Sparvero tutte, tranne una che, mortalmente colpita, precipitò sul greto.

Quella scimmia, d’alta statura, apparteneva al primo ordine dei quadrumani; non c’era da sbagliare. Fosse essa un chimpanzè, un orang, un gorilla od un gibbone, entrava ad ogni modo nella categoria di codesti antropomorfi, così nominati per la loro rassomiglianza cogli individui di razza umana. D’altra parte, Harbert 5 — L’Isola Misteriosa. Vol. III.