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in ottanta giorni 5

a suole di mollettone, che lo servivano in porcellana speciale e sopra stupende tovaglie di tela di Sassonia; erano i bicchieri di purissimo cristallo del club che contenevano il suo sherry, il suo porto od il suo claretto corretto con cannella, capelvenere, cinnamomo; era finalmente il ghiaccio del club — ghiaccio venuto con forti spese dai laghi d’America — che manteneva le sue bevande in un soddisfacente stato di freschezza.

Se vivere in tali condizioni si chiama eccentricità, bisogna confessare che la eccentricità ha del buono!

La casa di Saville-row, senza essere sontuosa, si raccomandava per un comfort davvero superlativo. D’altronde, con le abitudini invariabili del suo abitatore, il servizio si riduceva a ben poco. Però, Phileas Fogg esigeva dal suo unico servo una puntualità, una regolarità straordinarie. Quel giorno appunto — 2 ottobre — Phileas Fogg aveva licenziato James Forster, perchè codesto servitore erasi reso colpevole di portargli per radere la barba dell’acqua ad ottantaquattro gradi Farenheit, invece che ad ottantasei, ed aspettava il suo successore che doveva presentarsi tra le undici e le undici e mezzo.

Phileas Fogg, ben adagiato nel suo seggiolone, coi piedi ravvicinati come quelli di un soldato alla parata, le palme delle mani sulle ginocchia, il corpo ritto, la testa alta, guardava camminare la sfera della pendola — macchina complicata che indicava le ore, i minuti, i secondi, i giorni, i mesi e l’anno. Allo scoccare delle undici e mezzo, il signor Fogg doveva, secondo la sua abitudine quotidiana, lasciare la casa e recarsi al Reform-Club.

In quel punto, si udì picchiare all’uscio del salotto in cui se ne stava Phileas Fogg.