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in ottanta giorni 3

conto corrente, in cui egli era invariabilmente creditore, gli aveva procacciato una certa stima.

Codesto Phileas Fogg era egli ricco? Incontestabilmente. Ma in che modo si fosse arricchito, ecco ciò che i meglio informati non potevano dire, e il signor Fogg era l’ultimo cui convenisse rivolgersi per saperlo. Comunque, egli non era prodigo di nulla, ma non avaro, giacchè ogni volta fosse richiesto di danaro per un’opera nobile, utile o generosa, egli lo portava silenziosamente, od anco, per quanto possibile, anonimamente. Insomma, nulla di meno comunicativo di quel gentleman. Parlava il meno possibile, ed appariva perciò tanto più misterioso. Eppure, la sua vita era palese; ma era tanto matematicamente uniforme, che l’immaginazione, insoddisfatta, cercava al di là.

Aveva viaggiato? Probabile, poichè nessuno conosceva meglio di lui la carta del mondo. Non eravi luogo remoto ch’egli non mostrasse averne cognizione speciale. Qualche volta, ma in poche parole, brevi e chiare, rettificava le mille dicerie che circolavano nel club circa i viaggiatori perduti o smarriti; indicava le vere probabilità, e le sue parole erano parse di sovente quasi ispirate da una seconda vista; tanto l’avvenimento finiva sempre per giustificarle. Certo era un uomo che aveva dovuto viaggiare dappertutto, per lo meno in ispirito.

Peraltro era sicuro che da lunghi anni Phileas Fogg non aveva lasciato Londra. Le persone che avevano l’onore di conoscerlo più da vicino, attestavano che nessuno poteva pretendere d’averlo mai visto altrove che in quella strada diretta che egli percorreva ogni giorno per recarsi da casa sua al club. Suo solo passatempo era leggere i giornali e giocare al whist.