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nella bara, coi suoi migliori abiti, le mise tra le mani un garofano che aveva fiorito dentro una pentola fessa, e la più bella treccia dei suoi capelli; diede ai becchini quei pochi soldi che le rimanevano perchè facessero a modo, e non scuotessero tanto la morta per la viottola sassosa del cimitero; poi rassettò il lettuccio e la casa, mise in alto, sullo scaffale, l’ultimo bicchiere di medicina, e andò a sedersi sulla soglia dell’uscio, guardando il cielo.
Un pettirosso, il freddoloso uccelletto del novembre, si mise a cantare tra le frasche e i rovi che coronavano il muricciuolo di faccia all’uscio, e saltellando fra le spine e gli sterpi, la guardava con certi occhietti maliziosi come se volesse dirle qualche cosa: Nedda pensò che la sua mamma, il giorno innanzi, l’aveva udito cantare. Nell’orto accanto c’erano delle olive per terra, e le gazze venivano a beccarle; ella le aveva scacciate a sassate, perchè la moribonda non ne udisse il funebre gracidare; adesso le guardò impassibile, e non si