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a squarciagola la sua bella canzone, e tenendo stretti nella mano, dentro la tasca del grembiule, i suoi quaranta soldi.
Passando dinanzi alla farmacia vide lo speziale ed il notaro tutti inferraiuolati che giocavano a carte. Alquanto più in là incontrò il povero matto di Punta, che andava su e giù da un capo all’altro della via, colle mani nelle tasche del vestito, canticchiando la solita canzone che l’accompagna da venti anni, nelle notti d’inverno e nei meriggi della canicola. Quando fu ai primi alberi del diritto viale di Ravanusa, incontrò un paio di buoi che venivano a passo lento ruminando tranquillamente.
— Ohè, Nedda! — gridò una voce nota.
— Sei tu, Janu?
— Sì, son io, coi buoi del padrone.
— Da dove vieni? — domandò Nedda senza fermarsi.
— Vengo dalla Piana. Son passato da casa tua; tua madre t’aspetta.
— Come sta la mamma?