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e la faceva pregare per la sua povera mamma. Di tempo in tempo un pensiero doloroso le stringeva il cuore con una fitta improvvisa, e allora si metteva a correre, e cantava ad alta voce per stordirsi, o pensava ai giorni più allegri della vendemmia, o alle sere d’estate, quando, con la più bella luna del mondo, si tornava a stormi dalla Piana, dietro la cornamusa che suonava allegramente; ma il suo pensiero correva sempre là, dinanzi al misero giaciglio della sua inferma. Inciampò in una scheggia di lava tagliente come un rasoio, e si lacerò un piede; l’oscurità era sì fitta che alle svolte della viottola la povera ragazza spesso urtava contro il muro o la siepe, e cominciava a perder coraggio e a non saper dove si trovasse. Tutt’a un tratto udì l’orologio di Punta che suonava le nove, così vicino che i rintocchi sembravano le cadessero sul capo. Nedda sorrise, quasi un amico l’avesse chiamata per nome in mezzo ad una folla di stranieri.
Infilò allegramente la via del villaggio, cantando