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Pioveva, e il vento urlava incollerito; le venti o trenta donne che raccoglievano lo olive del podere, facevano fumare le loro vesti bagnate dalla pioggia dinanzi al fuoco; le allegre, quelle che avevano dei soldi in tasca, o quelle che erano innamorate, cantavano; le altre ciarlavano della raccolta delle olive, che era stata cattiva, dei matrimoni della parrocchia, o della pioggia che rubava loro il pane di bocca. La vecchia castalda filava, tanto perchè la lucerna appesa alla cappa del focolare non ardesse per nulla; il grosso cane color di lupo allungava il muso sulle zampe verso il fuoco, rizzando le orecchie ad ogni diverso ululato del vento. Poi, nel tempo che cuocevasi la minestra, il pecoraio si mise a suonare certa arietta montanina che pizzicava le gambe, e le ragazze incominciarono a saltare sull’ammattonato sconnesso della vasta cucina affumicata, mentre il cane brontolava per paura che gli pestassero la coda. I cenci svolazzavano allegramente, e le fave ballavano anch’esse nella pentola, borbottando in mezzo alla schiuma che