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l’erba soffice, tra le macchie in fiore, sotto gli alberi ancora nudi che cominciavano a punteggiarsi di verde. Jeli si ficcava negli spineti come un segugio, per andare a scovare delle nidiate di merli che guardavano sbalorditi coi loro occhietti di pepe; i due fanciulli portavano spesso nel petto della camicia dei piccoli conigli allora stanati, quasi nudi, ma dalle lunghe orecchie diggià inquiete; scorrazzavano pei campi al seguito del branco dei cavalli, entrando nelle steppie dietro i mietitori, passo passo coll’armento, fermandosi ogni volta che una giumenta si fermava a strappare una boccata d’erba. La sera, giunti al ponticello, se ne andavano l’una di qua e l’altro di là, senza dirsi addio.

Così passarono tutta l’estate. Intanto il sole cominciava a tramontare dietro il poggio alla croce, e i pettirossi gli andavano dietro verso la montagna, come imbruniva, seguendolo fra le macchie dei fichidindia. I grilli e le cicale non si udivano più, e in quell’ora per l’aria si spandeva come una gran malinconia.