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306 | lacrymæ rerum. |
la casa, con un luccichío tremolante di ceri, nella camera gialla. E dopo che tutti quanti furono partiti, la casa rimase sempre illuminata e deserta, quasi per una lugubre festa. Vi si vedeva solo di tanto in tanto il passaggio delle solite ombre che correvano all’impazzata, in un affaccendarsi disperato.
Nel silenzio alto dell’ora tarda, dietro quei vetri lucenti sulla facciata bianca di luna, sembravano indovinarsi delle invocazioni deliranti, dei singhiozzi soffocati, delle braccia supplichevoli stese verso il cielo sereno. Un usignuolo si mise a cantare all’improvviso da un terrazzino tutto verde di pianticelle odorose, nel silenzio della luna alta, dimenticando forse in quell’ora la sua prigione, pei cespugli del bosco nativo. Di quarto d’ora in quarto d’ora l’orologio squillava lentamente, dall’alto della torre.
La quiete greve della notte cadeva lenta anche su quella casa desolata. Il lume vegliava sempre tristamente nella camera silenziosa. Solo le ombre desolate si agitavano più