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il bell’armando. | 245 |
— Questa donna ch’è stata di tutti, — tonava il pubblico accusatore, coll’indice appuntato verso di lei, come la spada della giustizia; — questa donna che, per ogni trivio, fece infame mercato della propria abbiezione, e della cecità, voglio anche concedere alla difesa, della acquiescenza del suo amante, questa donna, o signori, osò arrogarsi il diritto delle affezioni pure e delle anime più oneste; osò esser gelosa, il giorno in cui il suo complice apriva gli occhi sulla propria vergogna, e si sottraeva al turpe vincolo, per rientrare nel consorzio dei buoni, ritemprandosi colla santità del matrimonio! —
Ella udì pronunziare la sua condanna, disfatta, cogli occhi sbarrati e fissi, senza dir verbo. Si alzò traballando, come ubriaca, e nell’uscire dalla gabbia di ferro, battè il viso contro la grata.
Prima l’aveva fatta cadere il signorino — se ne rammentava ancora come un bel sogno lontano, nell'azzurro. — Aveva pianto e supplicato. Indi, a poco a poco, vinta dal rispetto,