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artisti da strapazzo. 169

cio sotto la pelliccia. Allo svoltare di un’altra via essa alzava gli occhi, e si guardava intorno, balbettando: — Dove andiamo? Dove andiamo? — come fuori di sè. — Gennaroni le diceva adesso delle parole dolci e sonore che la stordivano: — Vieni meco! Sol di rose, intrecciar ti vo’ la vita.... — Colla chiave che s’era levata di tasca aveva aperto un usciolino sgangherato. Nell’androne buio, prima d’accendere un fiammifero, se la strinse sul costato come nel melodramma, di tre quarti, un braccio sulla spalla e l’altro sotto l’ascella.


Là nel lettuccio magro e cencioso della cameraccia nuda che prendeva lume da un cortiletto puzzolente, ella gli narrò il povero romanzo della sua vita, per quel bisogno d’abbandono con cui gli si era data, mentre egli sbadigliava, cogli occhi gonfi, e l’alba insudiciava le pareti untuose, da cui pendevano appesi ai chiodi i costumi stinti da teatro. — Aveva