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artisti da strapazzo. 167

due parole per un amico. Le domandava ridendo se le capitava di dargli le sculacciate, qualche volta.

L’altra continuava a ridere, scrollando le piume del cappello. — No, no, era così buono il poveretto! proprio come un fanciullo! A lasciarlo fare se lo sarebbero mangiato vivo, certe sgualdrinelle che sapeva lei! — Infine se lo prese sotto il braccio, e se lo portò via. Gli altri se n’erano andati pure ad uno ad uno. Il basso protestò che correva a vedere se era giunto il telegramma, e piantò lì il bicchierone vuoto su di una pila di piattelli. Assunta rimaneva sbalordita, colla tazza a metà piena, il cappellino di paglia e la eterna cappa grigia che la facevano sembrare più misera. Nell’uscire barcollava perchè non aveva preso altro tutto il giorno, quasi il chiasso le avesse dato alla testa. — Che avete? — chiese Gennaroni. — Eh, la birra! Non ci sarete avvezza! — Essa invece pensava a quella disgraziata che l’avevano mandata via coi questurini. — Non temete, no; che