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146 | artisti da strapazzo. |
alla tavola comune, insieme al cuoco, il baritono, i camerieri ed il maestro, ancora in cravatta bianca. Quest’ultimo, un gran buon diavolo, malgrado la sua barbona, cercava di confortarla come poteva: — La sala era tanto sorda! Chissà, una seconda volta, quando fosse stata più sicura dei suoi mezzi.... — La poveretta rispondeva di tanto in tanto con un’occhiata umile e riconoscente a quelle buone parole. Il baritono intanto, con un pastrano peloso gettato sul giustacuore di Carlo V, e un tovagliuolo al collo, divorava in silenzio. — Artisti bisogna nascere! — osservò infine a bocca piena.
La padrona, chiuso il libro e spenti i lumi del Caffè, era scesa in cucina a dare un’occhiata. Alla povera ragazza, che aspettava col viso ansioso, disse bruscamente:
— Cara mia, me ne dispiace, ma non ne facciamo nulla. Avete visto che fiasco? —
L’altra rimaneva a capo chino, coi fiori di carta nei capelli, e le spalle infarinate. — Mangiate, mangiate pure! — ripigliava la padrona,