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un processo. 119

vane. Quando mi vedeva insieme al doganiere del molo, che era un bell’uomo, colla montura lucida, mi diceva: “Vedi questo quattrino arrotato, che lo tengo in tasca apposta? con questo ti taglierò la faccia, e dopo m’ammazzo io.” E lo fece davvero. Io gli dissi: “Che serve? Ora che m’avete sfregiata nessuno mi vorrà, e non sarete più geloso.” —

S’interruppe, con un orribile sorriso di trionfo, guardando sfrontatamente in giro il presidente, i giurati, i carabinieri, cinghiati di bianco, incrociando sul petto il vecchio scialle, con un gesto vago.

— Ma non fu così, signor presidente. Mi volevano ancora, per sua bontà. Già gli uomini, sono come i gatti....

— E anche Rosario Testa? —

Ella chinò il capo, assentendo, due o tre volte, con quel sorriso.

— Sissignore, anche lui! —

La vedova adesso la guardava cogli occhi ardenti e feroci, le labbra pallide come le guance.